sabato 24 febbraio 2018

Viterbo, la città delle donne

“Viterbo, la città delle donne” è un film Lumar prodotto dal comune di Viterbo e dal distretto dell’Etruria meridionale in collaborazione con Banda del racconto e Davide Ghaleb editore.
L’appuntamento è sabato 24 febbraio 2018 alle ore 16,30 in sala del consiglio a palazzo Priori.
La regia dell’inedito documentario è di Marco Marcotulli in collaborazione con Marco D’Aureli. In scena Laura Antonini, Pietro Benedetti, Roberto Pecci. I costumi storici nelle passeggiate erano di Nicoletta Vicenzi.
Il pomeriggio si aprirà con gli interventi della vicesindaca Luisa Ciambella, ideatrice e madrina dell’intera iniziativa e il sottoscritto in rappresentanza di Banda del racconto (sua la direzione artistica della serie di eventi) che rievocherà le tappe salienti dell’avventura, svoltasi itinerando tra luglio e dicembre 2017 nei paesaggi più belli del capoluogo: per la Viterbo medievale inseguendo la leggenda di Bella Galliana; nelle sale cinquecentesche di palazzo dei Priori ospiti di Vittoria Colonna; al Bulicame dantesco a evocare le ombre di Beatrice, Pia e soprattutto delle “peccatrici” viterbesi del XIV canto dell’Inferno; lungo il percorso della Machina, in compagnia di Massimo Mecarini, sospesi tra vita e agiografia di Rosina, la santa giovinetta; per strade e piazze del gioiello urbanistico secentesco di San Martino al Cimino, leggendo ad alta voce la (forse) prima, certo velenosissima biografia di Donna Olimpia; fra le rupi scolpite ad arte della necropoli rupestre di Castel d’Asso a incontrare Ati, l’immaginaria principessa etrusca fattasi nel frattempo testimonial per le pari opportunità nelle scuole di Viterbo e provincia.
Il pubblico verrà accolto in sala dai suggestivi “sipari” percussivi di Roberto Pecci.
A seguire, proiezione del documentario (durata 30’ circa; il dvd sarà disponibile in sala per l’acquisto). Vi aspettiamo numerosi.
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martedì 20 febbraio 2018

Piantate in terra come un faggio o una croce

Un po' di Lucca sul palco del Teatro Parenti di Milano. Elisabetta Salvatori, poliedrica attrice di Forte dei Marmi, domenica 25 febbraio 2018 alle ore 21,00 si esibirà nel prestigioso teatro milanese con l’originale Piantate in terra come un faggio o una croce, monologo sulla vita di Caterina da Siena e Beatrice di Pian degli Ontani.
Fin dal titolo, questo spettacolo evoca la forza e la solidità terragna di queste due donne: la prima, Santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa e Beatrice di Pian degli Ontani, la poetessa pastora, venerata come la dea dell'ottava rima. Due donne speciali, divise da cinquecento anni di storia e dai cento chilometri che separano Siena dalla montagna pistoiese. Il teatro e la passione di Elisabetta per le grandi figure le hanno messe accanto, riunendole in un unico spettacolo, che abbraccia medioevo e risorgimento, seguendo i fili che Caterina e Beatrice hanno in comune, a cominciare da una data, il 25 marzo: il giorno in cui nel 1347 nasceva Caterina e nel 1885 moriva Beatrice. "La seconda coincidenza – spiega l’autrice e narratrice versiliese - è una frase dai toni mistici. Erano analfabete, ma grandi comunicatrici e quando la gente, incredula, chiedeva loro dove avessero imparato quella sapienza, tutte e due rispondevano: 'dal Libro Aperto', che per Beatrice significava aver imparato dalla natura dato era il nome della montagna sopra casa sua, mentre per Caterina voleva dire aver appreso dalle braccia aperte del crocifisso. Tuttavia, le coincidenze non finiscono qui, ma proseguono nei sassi. Oggi a Siena, l'unica cosa che rimane nella cella di Caterina è il sasso dove posava la testa per dormire, mentre a Pian degli Ontani c'è una grande pietra chiamata 'Il sasso di Beatrice' in ricordo del luogo dov'era la sua casa".
"Infine - conclude Salvatori - racconterò piccole curiosità, non trovate sui libri, ma nei luoghi dove vissero. Un esempio per tutte: a Roma, nel palazzo dove è morta Caterina oggi c'è un teatro e tra la biglietteria e la sala degli spettacoli c'è proprio una cappella dedicata al trapasso di Caterina".
Poi la caparbietà di entrambe, non sapevano scrivere, ma Caterina detta e invia più di trecento lettere a sovrani e pontefici del suo tempo, senza sconti per nessuno. Mentre nella casa di Beatrice, poverissima, c’era un via vai di intellettuali incuriositi e affascinati dalla sua capacità di improvvisare poesie in rima. Personalità dure, carismatiche, battagliere e ribelli, capaci di tener testa a uomini colti e di potere.
Beatrice canta poesie, Caterina passeggia con Gesù.
Poesia e fede: la via della grazia e quella della natura che proseguono sullo stesso sentiero, verso il senso della vita.

lunedì 19 febbraio 2018

"Dante per tutti" in cripta a Roma

Giovedì 22 febbraio 2018 alle ore 19,30 presso la Cripta della Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone a Roma si tiene la lettura e il commento del canto Purgatorio III - Gli scomunicati “biondo era e bello e di gentile aspetto”.
L’incredibile storia del figlio di Federico II: Manfredi di Svevia, scomunicato e maledetto dalla Chiesa, ma salvato da Dio.
Dante per tutti è l’iniziativa dantesca ideata nel 2015 da Luca Maria Spagnuolo e Patrocinata dalla Società Dante Alighieri che ha portato ogni settimana la Divina Commedia di Dante nel centro di Roma.
Grazie al linguaggio appassionato e all’approccio chiaro e discorsivo, gli incontri danteschi sono riusciti nelle passate edizioni a coinvolgere un ampio pubblico alla fruizione del capolavoro dantesco, diventando così un punto di riferimento nel panorama culturale della Capitale e suscitando anche l’interesse di radio, televisione e giornali.
Come negli anni precedenti, anche in questa quarta stagione la formula resta immutata: il giovedì sera di ogni settimana, alle h. 19.30, verrà letto e commentato un Canto della Divina Commedia di Dante, dall’Inferno fino al Paradiso.
In un linguaggio avvincente e Canto dopo Canto viaggeremo alla scoperta del capolavoro della nostra letteratura, accompagnando Dante dalla selva oscura fino all’estrema visione di Dio.
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sabato 17 febbraio 2018

"Il Barba e l'inquisitore" in scena a Roma

Sabato 17 febbraio 2018, alle 18.30 a Roma, sarà rappresentata “Il Barba e l’inquisitore” (nella sala di Via Marianna Dionigi, 59) una pièce teatrale scritta da Giuseppe Platone, pastore della chiesa valdese di piazza Cavour, sulla base degli atti di un processo inquisitoriale del XVI secolo.
Questa pièce è nata intorno al fascino che emana dalla figura del Barba medievale. I Barba erano dei predicatori itineranti che visitavano con regolarità, e non senza rischi, i gruppi valdesi che per tutto il medioevo sono sopravvissuti nella semi clandestinità. Il Barba di cui racconto si chiamava Pierre Griot, un predicatore alle prime armi, vissuto nella prima metà del XVI secolo. Lo spettacolo è l’adattamento dei verbali di un processo inquisitoriale condotto dal domenicano Jean de Rome. Uno scontro impari: tanto Griot è acerbo, forte solo della sua coscienza, quanto de Rome è un erudito, arma affilata al servizio del potere.
Il processo a Griot è interessante sia da un punto di vista storico sia perché tematizza la questione, attualissima, della violenza nella religione. Griot venne catturato in Francia mentre rientrava dal Sinodo di Chanforan, l’assemblea che, nel 1532, determinò l’adesione dei valdesi alla Riforma protestante e pose sostanzialmente fine al valdismo medievale. Griot è personaggio a cavallo di due epoche. Soprattutto, fornisce durante il processo informazioni sull’assemblea di Chanforan che prima ci erano sconosciute. Per esempio, la documentazione disponibile sul Sinodo riguarda temi prevalentemente morali; da Griot invece sappiamo che ci furono animati dibattiti su temi teologici come la giustificazione per fede, il celibato o il purgatorio – evidentemente, all’epoca temi ancora aperti da non permettere la stesura di documenti ufficiali.

mercoledì 14 febbraio 2018

"Streghe e Janare. il Medioevo fantastico napoletano" al Museo del Sottosuolo

Sabato 17 e domenica 18 febbraio 2018 appuntamento alle ore 18,30 nella magica location del Museo del Sottosuolo di Napoli per l’evento teatralizzato “Streghe e Janare. il Medioevo fantastico napoletano”.
Uno spettacolo scritto da Laura Miriello in collaborazione con Livia Bertè. Assisterete ad un evento unico sulla storia e sui riti delle mitiche streghe e “Janare” beneventane le sacerdotesse della Dea Diana. A condurci lungo le scalinate che portano alle viscere di Napoli e lungo i misteriosi cunicoli che confinano con gli ipogei funerari della Sanità ci saranno tre streghe famose emerse dai racconti del medioevo fantastico nei loro antichi costumi Lupercalia strega del sud (Laura Miriello), Marillia strega del nord (L’attrice Livia Bertè) e Vespertiliala strega dell’est (Giuliana Ciucci)! Le tre “litigiose e inquiete” streghe vi racconteranno tra monologhi piccoli litigi malocchi e fatture le storie fantastiche legate alla stregheria napoletana e campana, la stregheria dell’antica Roma al Medioevo fino a giungere alle usanze delle janare beneventane dei giorni nostri. Racconti della tradizione contadina e delle origini dei miti legati alla ritualità che compivano i contadini e le janare nei campi nelle notti stregate invernali.
Giunti al centro del Museo proprio nel ventre della Napoli più nascosta ad attendervi un tempio rituale sacro alle janare. Marillia Vespertilia e Lupercalia ci attenderanno al calderone magico i simboli delle streghe, Marilia e Carmilia insceneranno l’antica danza tratta dalle “danze delle streghe” intonando il canto delle janare beneventane, attorno al calderone. Terminata la danza al chiarore della candele le tre streghe accenderanno come tradizione simbolicamente il fantoccio della “vecchia Dianara”.
Nel fuoco ogni partecipante getterà un foglio in cui avrà scritto le cose che vuole eliminare dalla propria vita. Davanti al fuoco terremo un canto tratto dai testi medievali, per richiamare la luce proveniente dalla terra e dal cielo e di cui noi siamo il punto di incontro, per purificare e rischiarare il nostro cammino nel nuovo anno.
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giovedì 8 febbraio 2018

Mistero Buffo in scena a Mocalieri (TO)

Il testo più famoso di Dario Fo, uno spettacolo che lo ha consegnato alla storia del teatro e della letteratura, in una nuova versione diretta da Eugenio Allegri in scena alle Fonderie Limone di Mocalieri (TO) da martedì 6 a domenica 18 febbraio 2018. 

Mistero Buffo è considerato il capolavoro della produzione di Dario Fo, come recita la motivazione del Premio Nobel attribuitogli nel 1997: «A Fo… che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati». Eugenio Allegri dirige Matthias Martelli, giovane talento del Teatro della Caduta, in questa giullarata popolare che ha costituito il modello per il grande teatro di narrazione degli ultimi vent’anni. L’originalità dell’operazione del grande artista sta nell’aver attinto agli strati più profondi della tradizione popolare, rivitalizzandola e attualizzandola mediante riferimenti alla realtà contemporanea: le sacre rappresentazioni diventano occasioni per recuperare la cultura degli oppressi, delle classi subalterne, le cui uniche forme di rivalsa risiedono nel riso e nel comico. Mistero, dai Misteries medievali, ma anche “buffo”, perché dissacrante e oltraggioso nella rilettura di alcuni episodi della storia sacra. Il comico della Commedia dell’Arte incontra la lingua di Jacopone da Todi, Teofilo Folengo, Ruzante, giullari, dialetti padani, fondendosi nel celebre grammelot. Eugenio Allegri, che proprio a Palazzo Nuovo, a Torino, negli anni Settanta, vide lo spettacolo, nella sua versione originaria, scrive: «Anche nel nostro Mistero Buffo, Matthias Martelli, l’attore, è solo in scena, senza trucchi, con l’intento di coinvolgere il pubblico nell’azione drammatica, passando in un lampo dal lazzo comico alla poesia, fino alla tragedia umana e sociale. Lo “spazio scenico”, lasciato vuoto come allora faceva Fo, ha consentito all’attore/giullare di interpretare le situazioni e i personaggi più variegati, passando da un luogo all’altro e da un tempo a un altro senza bisogno di scenografie. Il
Matthias Martelli
nostro lavoro quindi affonda le sue radici in una forma di teatro che, attraverso la lingua corporale ricostruita col suono, con le onomatopee, con scarti improvvisi di ritmo, con la mimica e la gestualità spiccata dell’attore, passa continuamente dalla narrazione all’interpretazione o alla sola evocazione dei personaggi, trasformandoli all’occorrenza dal servo al padrone, dal povero al ricco, dal Santo al furfante, per riprodurre sentimenti, reazioni, relazioni, e tutte quelle altre cose che fanno, infine quella rappresentazione sacra e profane chiamata Commedia. Fondamentale è stato svincolare Mistero Buffo dal mondo degli anni Sessanta e Settanta, per attualizzarlo e universalizzarlo, attraverso un linguaggio e un’interpretazione nuova e originale, nel segno della tradizione di un genere usato dai giullari medievali per capovolgere l’ideologia trionfante del tempo dimostrandone l’infondatezza. (Quella del nostro tempo, ma giusto per dire la mia, mi pare si chiami Autodistruzione)».

sabato 3 febbraio 2018

Orlando, furiosamente solo rotolando

Il palco della Casa del Teatro di Faenza si riempie della magia dei paladini di Carlo Magno. Si terrà sabato 3 febbraio 2018 alle ore 21,00 lo spettacolo “Orlando, furiosamente solo rotolando”, una libera rotolata medievale di Enrico Messina e Alberto Nicolino messo in scena dalla compagnia Armamaxa Teatro. Camicia bianca, una tromba e uno sgabello: è tutto quel che serve per raccontare le vicende dei paladini di Carlo Magno e dei terribili saraceni. All’essenzialità della scena si contrappongono la ricchezza ed i colori delle immagini evocate: accampamenti, cavalieri, dame, duelli, incantagioni, palazzi, armature, destrieri… Un vortice di battaglie e inseguimenti il cui motore è sempre la passione, vera o presunta, per una donna, un cavaliere, un ideale.
Reale trasporto o illusorio incantesimo? Sono solo storie. Storie senza tempo di uomini d’ogni tempo, in cui tutto è paradosso, iperbole, esasperazione. Si riscoprirà il piacere della fabulazione e della fascinazione della parola, il senso di ascoltare delle storie e di ascoltarle assieme ad altri. Arte un tempo assai familiare alla nostra cultura, ormai trascurata se non del tutto dimenticata. Ecco perchè l’Orlando Furioso di Ariosto, è proprio dall’arte dei cantastorie che prese linfa per diventare alta letteratura; ed ecco perchè il travolgente racconto che ne ha fatto Italo Calvino insieme a stralci di immagini “rubate” ad altri suoi libri come Il Cavaliere Inesistente.
Così le parole dei canti e delle ottave di Ariosto prendono nuova vita, un po’ tradite un po’ ri-suonate, e la narrazione avanza tra guizzi di folgorante umorismo e momenti di grande intensità, mescolando origini, tradizioni e dialetti. Nell’appassionante lavoro di scrittura alcuni episodi sono stati ripresi, altri rielaborati, altri completamente inventati com’è nell’essenza stessa dell’arte di raccontare.
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venerdì 2 febbraio 2018

"Il nome della rosa" in scena a Roma

Il nome della rosa è in scena al Teatro Argentina di Roma  fino al 4 febbraio 2018.
Tredici attori diretti da Leo Muscato danno vita a quaranta personaggi: un vero e proprio Colossal per la scena. Attesa e curiosità per la trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo, firmata da Stefano Massini, un omaggio a Umberto Eco nel primo anniversario della sua morte.
Scritta nel 1980, l’opera, a metà tra il gothic novel e il romanzo poliziesco, best seller della letteratura italiana, è stata tradotta in 47 lingue e classificata da Le monde tra i 100 libri più belli del XX secolo.
La scena si apre sul finire del XIV secolo. Un vecchio frate benedettino, Adso da Melk, è intento a scrivere delle memorie in cui narra alcuni terribili avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù. Nel nostro spettacolo, questo io narrante diventa una figura quasi kantoriana, sempre presente in scena, in stretta relazione con i fatti che lui stesso racconta, accaduti molti anni prima in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Sotto i suoi (e i nostri) occhi si materializza un se stesso giovane, poco più che adolescente, intento a seguire gli insegnamenti di un dotto frate francescano, che nel passato era stato anche inquisitore: Guglielmo da Baskerville. Siamo nel momento culminante della lotta tra Chiesa e Impero, che travaglia l’Europa da diversi secoli e Guglielmo da Baskerville è stato chiamato per compiere una missione, il cui fine ultimo sembra ignoto anche a lui.
Quasi in contemporane con la messa in scena, Il nome della rosa si appresta a diventere anche una serie TV.
Il ruolo di Guglielmo da Baskerville, il monaco-detective interpretato da Sean Connery nel kolossal diretto da Jean-Jacques Annaud nell'86, è stato affidato a John Turturro mentre Rupert Everett sarà il suo antagonista, Bernardo Gui (F. Murray Abraham nel film). Adso da Melk, il novizio che nel film era interpretato da un giovane Christian Slater, nella serie tv avrà il volto del diciottenne attore tedesco Damien Hardung. Alla regia Giacomo Battiato, le riprese dovrebbero iniziare a gennaio negli studi di Cinecittà.