Apre la programmazione del Teatro Flavio Vespasiano di Rieti, una delle compagnie
di danza più interessantiin Italia: Spellbound Contemporary Ballet
ripropone a grande richiesta, Carmina Burana, con la coreografia e regia
di Mauro Astolfi e le musiche di Carl Orff, Antonio Vivaldi, Aleksandar
Sasha Karlic, il disegno luci di Marco Policastro e le scene di Stefano
Mazzola, venerdì 16 novembre 2018 alle ore 21,00 grazie alla collaborazione tra Comune di
Rieti e ATCL. Lo spettacolo, che aveva debuttato in prima assoluta a
Maiori nel settembre 2006, è presentato nel riallestimento per la
celebrazione dei 200 anni del Teatro Sociale di Como e per il Prisma
Festival de Danza contemporanea di Panama (ottobre 2014).
I Carmina Burana vennero ritrovati, numerosissimi (più di 300
componimenti di vario genere), in un manoscritto dell’abbazia di
Benediktbeuren, da cui presero il nome. Vengono fatti risalire per la
maggior parte al secolo XIII, quando non era troppo difficile,
viaggiando per la Germania e la Sassonia, imbattersi nei goliardi (da
cui il nome dato dalla tradizione italiana agli studenti universitari,
che in realtà hanno poco o nulla da spartire con i loro omonimi
medievali) o più propriamente clerici vagantes, letterati girovaghi
studiosi della tradizione poetica greca e latina, cantori del vino,
delle donne, del vagabondaggio e del gioco. Poesia burlesca, impudente,
sovversiva: si parla senza troppi veli del corpo e della sua quotidiana
avventura, se ne esplicano con gioia le funzioni, non si guarda
all’altrove. Tace il linguaggio della ratio, si dimentica il decorum e
si osa persino irridere audacemente al divino con le cosiddette
‘kontrafakturen’, ossia travestimenti di inni e motivi religiosi in
canti profani che suonano come parodia degli evangeli, delle formule di
confessione e delle litanie. Eros, dunque, riassorbe thanatos, l’homo
faber si trasforma in homo ludens.
“Venus me telo vulneravit / aureo, quodcorpenetravit”… “Venere mi ha
colpito con una freccia d’oro, che mi è penetrata nel cuore”: il corpo
(a differenza di quello dei dannati nei ‘Giudizi universali’ della
pittura medievale che non conosce alcuna floridezza nella resurrezione,
soltanto degradazione, pustole e infermità), non è mai detto animale,
basso, ‘sozzo’, bensì viene innalzato, liberato e goduto, come nei versi
di Ovidio, Marziale e Catullo.
Da questo curioso magma di scurrilità plebea e raffinatezza
cortigiana Mauro Astolfi trae – o per meglio dire, deduce in piena
libertà, senza alcuna intenzione filologica – una coreografia tutta
giocata tra ‘larghi’ e ‘sfrenatezze’ (del resto, è un artista a cui il
ritmo ‘medio’ poco o nulla si addice) che agisce lo spazio quasi a
volerlo contestare, divisa essenzialmente in tre momenti che scandiscono
un crescendo liberatorio: si passa da una brutale aggressione sotto il
cupo rombare della pioggia battente a una parte irriverente e grottesca
che allude alle giullarate, per culminare infine
nell’incendiumcupiditatum, lo scatenamento delle passioni, che avviene
nella taberna (qui anche – come spesso anticamente – bordello), luogo di
appagamento degli istinti primari.
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